Lo è sempre stato, ma ora lo è di più. Non avrebbe potuto fare il pittore se non ci fosse stata accanto a lui la presenza fondamentale di Theo, sia sotto il profilo morale che economico. Theo, la sua famiglia. Theo, l'unico che lo ama. Suo fratello gli somiglia vagamente, ma, mentre Vincent è poco gradevole d'aspetto e piuttosto rozzo ed eccentrico nei modi, Theo è un bell'uomo, possiede la figura snella, elegante, anche se è cagionevole di salute. E' un esperto mercante d'arte e ha fatto carriera da Boussod e Valadon. Ma ora è in crisi. Crisi sul lavoro, crisi forse anche con la moglie, Johanna Bonger. Come accettare quel cognato strambo e sporco, sempre bisognoso di soldi e di sostegno? Ora poi che hanno un figlio da crescere devono per forza di cose cambiare le loro priorità, devono provvedere al piccolo per dargli una vita dignitosa. Vincent non vende quadri, Vincent ha le allucinazioni, Vincent forse è pazzo. A Saint Remy, all'ospedale per malati mentali, non hanno fatto nulla di concreto per lui. Qualche bagno curativo, la possibilità di dipingere il giardino. Tutto qui. Però a Saint Remy il pazzo Vincent produce alcune delle opere più straordinarie della storia dell'arte occidentale. Per quel suo nipote amato e forse inconsciamente odiato dipinge Ramo di mandorlo in fiore. Rami contorti contro un cielo azzurro, di un azzurro quasi accecante. Immaginiamo il pittore che volge lo sguardo in alto, immerso nell'aria rigenerante di febbraio. E' nella campagna intorno all'ospedale, lontano dalle urla, dai visi allucinati, dal dolore straziante. La natura è lì, che sboccia felice, come eterna promessa di rinnovamento. L'augurio che Vincent rivolge a suo nipote è quello di un esistenza piena di affetti, serena, gioiosa. Vincent sceglie il ramo di mandorlo perché è uno degli alberi che fiorisce prima, annunciando la primavera. Lo dedica al "nuovo" Vincent Willem Van Gogh. Che sia felice, che sia amato. Le stampe giapponesi che tanto ama lo ispirano, stilizzano le forme. I rami sono arabeschi aggrovigliati, sono pura tensione, braccia che agonizzano, mani che cercano. I fiori rosa, oggi sono quasi bianchi, sono la speranza che rinasce, sono la bellezza, la delicatezza. Con l'usura del tempo le tonalità sono sbiadite, appena dipinto sia lo sfondo che i fiori possedevano toni accesi, forti, di un intensità feroce. Un opera che riflette la vita: c'è bellezza, ma c'è anche sofferenza, spasmo. La pittura è un nodo allo stomaco che deve uscire, e Van Gogh sa che non ha tempo. Continua a produrre. Gli iris, il giardino dell'ospedale, la straordinaria Pietà che dipinge ispirandosi a Delacroix. E poi la Notte stellata, coin i suoi visionari vortici nel cielo, quel ritmo possente e concitato, il cipresso, il suo albero preferito, la silhouette scura e contorta che collega cielo e terra.Il profilo basso del paese, la chiesa. Un cielo soverchiante immenso, la natura possente, l'universo sopra di tutto, nella sua forza, da fare quasi paura. Quell'immagine è popolarissima. Attualmente e si trova al MOMA di New York. Indimenticabile, ma il pittore la nomina solamente in un paio di sue lettere al fratello. D'altronde Vincent crede in sé, ma non si considera certo un genio. Seguono alcuni mesi terribili in cui non è in grado di lavorare. " Parlando del mio stato attuale, sono grato per questo: ho potuto osservare che anche gli altri durante le loro crisi sentono voci e suoni strani come li ho uditi io, e che anche davanti a loro le cose appaiono cangianti. e questo diminuisce l'orrore che avevo in precedenza delle mie crisi, che quando ti piombano addosso all'improvviso non puoi che spaventarti oltre misura..."
Vincent lascia il sud dopo un anno a Saint Remy e si trasferisce ad Auvers, non troppo distante da Parigi-un'ora di treno- nè troppo vicino, e questa scelta è per tutti un sollievo. A Parigi Vincent rappresenta una presenza troppo ingombrante per la vita borghese della famiglia Van Gogh e la città coi suoi mille stimoli lo agita. Vincent non può certo prendere il treno tutti i giorni. Ci si incontra con la famiglia ogni tanto. Poi rimane il contatto epistolare, quello di sempre, il diario di due corpi ed un anima. Il paesaggio di Auvers è piacevole e pittoresco: le colline, le casette in pietra con i tetti di paglia, la splendida chiesa. L'aria è limpida, l'atmosfera bucolica.
La Chiesa di Auvers su Oise ritratta da Vincent |
Vincent è libero ad Auvers, ma vive nel terrore di perdere la lucidità, di avere ancora quelle terribili visioni e quando è in uno stato mentalmente più stabile si tormenta per l'angoscia di pesare su colui che ama di più al mondo e l'unico che lo ricambia, Theo. Essere eternamente in debito, sentirsi un fallito, sentirsi solo. E' troppo. Vincent dice basta.
I campi di grano a Auvers |
Pannello esplicativo, ad Auvers nei campi di grano presso il cimitero |
La locanda della famiglia Ravoux per pochissimi franchi al giorno si poteva no avere una stanza ed un pasto caldo |
Il dottor Gachet, che ha assisitito Vincent negli ultimi mesi e che più di un bravo medico è un bonario amante dell'arte, prova a rassicurare Vincent.
"Puoi farcela, sopravviverai Vincent, devi dipingere ancora, ce la stai facendo. "
Il fratello aggiunge le lusinghiere parole lette sul Mercure de France : il giovane critico Albert Aurier aveva descritto Vincent come un realista visionario " l'idea fissa -che alberga nella mente di Vincent scrive Aurier- è quella dell' "arrivo di un uomo, un messia, un seminatore di verità che rigenererà la nostra decadente e forse stupida società industriale". A Vincent non importa. Chiede di fumare la pipa.
"Se non muoio dovrò spararmi di nuovo ". Queste le parole del pittore. Anche Theo realizza, deve realizzare, che è la fine.
La camera di Vincent ad Auvers sur Oise, Auberge Ravoux |
All'una e mezza di martedì 29 luglio 1890 Vincent van Gogh muore. Accanto a lui il fratello, straziato e incredulo. La morte lo sfiora quella notte e Theo lo sa. Seguirà il suo amato alter ego nella tomba solo sei mesi dopo: la sua salute non regge dopo quella perdita. Sarà la vedova Bonger a continuare il lavoro del marito, ad impegnarsi perché il nome di Vincent Van Gogh venga riconosciuto. Nella primavera del 1891, si trasferì a Bussum, un piccolo villaggio a quindici miglia da Amsterdam dove abitava un ex compagna di classe. Negli anni riuscì ad affermare le doti del cognato, a non disperdere le collezioni, che ora sono il nucleo del Van Gogh Museum di Amsterdam.
Vaso con iris |
E non importa se vendette un solo quadro in vita sua, perché rimase fedele a se stesso. Sapeva cosa fare per vendere, ma lui voleva essere solo Vincent. Senza manie di grandezza, con umiltà, tenacia, passione. Onesto verso se stesso e verso gli altri. Questo strambo, nervoso, delicato, incredibile uomo, un anticonformista appassionato che aveva come primo desiderio quello di comunicare per essere accettato, e per dare qualcosa a quel mondo che non lo capiva; Beh quest'uomo ora, a 120 anni dalla sua morte è uno dei pittori più amati e conosciuti al mondo. Alle aste i prezzi dei suoi quadri sono alle stelle. I più grandi musei del mondo si contendono le sue opere. Poi c'è l'enorme mole d'affari del merchandising: puzzle di Van Gogh, poster, borse, tazze, teli da mare. Caro, infelice, Vincent, chissà che diresti in proposito. Ma forse non importa, tutto ciò che avevi da dire, l'hai già detto.
Le tombe dei due fratelli Van Gogh a Auvers. |