mercoledì 16 novembre 2011

L'urlo

"Camminavo lungo lungo la strada con due amici- il sole tramontava- il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue-mi fermai- mi appoggiai stanco morto ad un parapetto- sul fiordo nero azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco- i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura- e sentii un un grande urlo infinito che attraversava la natura".

 Il grido, Edward Munch, 1893 Oslo Nasjonalgalleriet
 Fiumi d'inchiostro sono stati versati per quest'opera del pittore norvegese Edward Munch. L'artista visse ed espresse nella sua lunga parabola artistica la tragica essenza della condizione umana. Si possono dire e si sono dette molte cose sul pittore e sulla sua vita. Si può parlare della sua infanzia segnata al dolore, dal lutto, dalla malattia. Perde la madre a 5 anni, poi, 7 anni dopo, una lunga malattia gli strappa la sorella quindicenne Sophie. E' lui stesso a raccontarci di come nella sua vita di bambino, nella sua dimora familiare, che nell'immaginario felice di ognuno dovrebbe essere IL rifugio, un ambiente caldo, protetto, sereno, regnasse invece l'atmosfera lugubre e soffocante della morte. Un' alito carico di oscuri presagi ammorbava quelle stanze scure, anni avvelenati dal terrore assillante della perdita, del lutto. Anni in cui germoglia un pessimismo inconsolabile, universale.
"Nella mia casa abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l'infelicità. Così vissi coi morti."  L'amore, anche questo nobile, elegiaco sentimento, viene messo in discussione e visto con coraggio e spietata lucidità. Esso è l'inganno supremo, è sofferenza, tradimento, menzogna crudele. Trappola affascinante alla quale non possiamo resistere,  ma che si avvolge con le sue lunghe spire velenose fino astringere e soffocare.
Edward Munch fu infelice, ma non si suicidò come Van Gogh o Arshile Gorky. Non scelse neppure la via dell'autodistruzione, un modo più sottile di porre fine alla propria esistenza, come fecero Toulouse- Lautrec o Jackson Pollock, aiutati da alcol e droghe. Edward Munch visse e la sua vita fu lunga.Visse e si nutrì della tragicità dell'esistenza.  Le sue opere venivano esposte ad una catartica purificazione, lasciate all'aperto, minacciate e violate  dalle intemperie. Segnate anche loro dalla sofferenza. Opere come carne vivente, ferita e lacrata. La sua produzione artistica è stata "spiegata" collocandola in una congiuntura storico - sociale particolare, la crisi europea che va dalla fine dell'800' ai grandi conflitti mondiali. L'uomo perde la terra sotto i suoi piedi, il cielo sopra la propria testa. La vita è calpestata, la vita non vale più nulla. Edward muore nel 1944  a 81 anni. Nel 1937 la sua opera è stata bollata come arte degenerata dai nazisti.
A proposito del Grido si è scritto di come il dolore della figura in primo piano, di colui che emette il suono, di  colui che è il grido stesso, trovi una sorta di eco nel paesaggio circostante. La critica mette in evidenza che nell'espressionismo tedesco successivo l'uomo ed il paesaggio sono in contrasto. L'individuo è solo, la natura non accoglie e non condivide la sua tragedia, ma, al contrario, diviene ostile, fredda, nemica. Ebbene io sostengo che nessuno come Edward Munch abbia saputo rendere l'ineluttabile assurdità dell'esistenza umana. Nessuna religione ci salverà, nessuna filosofia ci verrà in soccorso, siamo soli. Il mondo plasmato dal nostro grido siamo noi, perchè la natura non è che un riflesso di noi stessi. Tutto è distorto e sconvolto da quel grido primordiale. Non c'è riparo, come non c'è nemico. Non c'è scampo. C'è invece il grido straziante del neonato che viene alla luce senza chiederlo e che trema dal freddo, quel freddo che diventerà ghiaccio e dolore e poi pietra tombale. C'è il Grido dell'uomo che non riesce a realizzare se stesso, a capire se stesso.  Comunicare con gli altri è impossibile, ciascuno avvolto nel suo bozzolo di dolore, al quale reagisce nascondendosi dietro una falsa vita borghese, dietro un amore, dietro un ideale fittizio. Nel volto scheletrico del grido è tracciato con inchiostro indelebile il suo futuro. Il senso o -se vogliamo- il non -senso della morte. L'unica certezza in nostro possesso. La fine di tutto, ci dice Munch, che siate stati illusoriamente e ostinatamente felici o che siate stati tristi e disperati è questo il destino. Che siate innamorati o soli, che siate brave persone o criminali, stupidi o intelligenti poco importa: tutto è già stato scritto. Un giorno non troppo lontano qualcosa accadrà ed dei vostri sentimenti, del vostro spirito, dei vostri affetti non rimarrà che polvere. Non sarete mai esistiti. Perchè?  Perchè?  La domanda infinita, archetipica, senza risposta. Afflizione e tormento inconsolabile dell'uomo, la sua solitudine difronte all'abisso, il non sense di questa vita e di questa morte è tutto qui, in questi colori stridenti che si avvolgono in morbide, visionarie curve,  già declinate secondo i futuri dettami dell'Art Nouveau.  Ma non c'è nulla dell'elegante decorativismo di fine secolo. Nulla di decadente ed edonistico. Siamo qui in presenza di qualcosa che supera tendenze artistiche e stilemi per approdare alla vita vera, alla soggettività più profonda.
 Solo una vola mi è capitato di comprendere veramente l'afflato mistico e terribile di quest'opera. Mi trovavo ad osservare una semplice riproduzione, ma il mio stato d'animo era particolarmente ricettivo in questo senso. Le porte dell'angoscia si schiudevano con sgomento, quasi contro la mia volontà. E allora ho capito l'Urlo. Questo dipinto è stato mio, io sono stata sua. Fusione nella disarmonica percezione del dolore umano. Ho sentito il grido, l'urschrei primordiale che alberga in ognuno di noi, sotto una coltre di difese e belle illusioni. Solo una volta, e mai più, sono stata quel grido. La potenza di questo quadro, semplici pigmenti a olio stesi su di una tela, è immensa. Dopo cent'anni il sentimento di un singolo trova eco nella stessa drammatica visione di Munch. Per qualche terribile istante è possibile percepire tutto lo strazio della nostra effimera condizione.
Durante un lungo, scioccante momento il pittore norvegese ha toccato la mia vita. Quando un artista riesce a travalicare anni, esistenze, storie, per giungere ad esprimere con coraggio il vero dramma universale che sta alla base della condizione umana, allora questo artista si può chiamare genio.

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