ESPOSIZIONI





TOULOUSE- LAUTREC E LA PARIGI DELLA BELLE EPOQUE

Toulouse-Lautrec in abito da passeggio,1892









Catalogo della mostra, Mazzotta 2011
La fondazione Magnani Rocca, nata nel 1977 per volontà di Luigi Magnani in memoria dei genitori a Mamiano di Traversetolo (Pr) ha ospitato la mostra “Toulouse Lautrec e la Pargi della Belle Epoque”, dal 10 settembre all'11 dicembre 2011.La fondazione, oltre ad accogliere nella sua collezione permanente capolavori di indiscutibile pregio, opere prodotte da artisti del calibro di Goya, Rembrant, Tiziano e Monet, da anni progetta e realizza mostre di grande interesse: basti pensare a quelle dedicate a Wharol, Ligabue o Guttuso. L'esposizione sulla Parigi di Lautrec illustra ed 










approfondisce il percorso artistico di una figura non ancora abbastanza conosciuta al grande pubblico italiano. L’Italia sembrava essersi dimenticata di questo affascinante artista, che fu sempre schivo riguardo la qualità delle sua arte, ma particolarmente attento e coscienzioso nell’ambito della sua ricerca stilistica. Sono pochissimi i musei italiani ad ospitare le sue opere, ma le affiches di Lautrec ed in particolare le silouhettes delle ballerine del "Moulin Rouge" ormai sono familiari al grande pubblico, cristallizzate nell immaginario collettivo nel quadro di un'ammiccante Parigi fin de siècle. Figura rilevante nel panorama artistico delle capitale francese, Toulouse-Lautrec non è inquadrabile in nessuna precisa corrente artistica. E' amico dei più grandi pittori dell'epoca ed allo stesso tempo spicca come un grande isolé, al pari di Modigliani.

Jane Avril,1889
Litografia a pennello in quattro colori su foglio di carta di cotone
Collezione Privata











Se il dialogo con le correnti d'avanguardia  è un nodo centrale della  della sua formazione, così come la permeabilità a diverse influenze fondanti del periodo, come la fotografia e il japanisme, è pur vero che la produzione di Lautrec si svolge tutta all’insegna di un ricerca spiccatamente personale e dagli esiti originali. L'esposizione è particolarmente rilevante perché esplora in maniera esaustiva la vasta produzione cartellonistica dell’artista, mettendo in evidenza gli elementi che hanno caratterizzato il suo perscorso tematico/stilistico. La sezione espositiva più interessante a mio parere è il raffronto con le opere dei giapponesi della Ukyo-e, la corrente detta del "mondo fluttuante". Si tratta di un fenomeno artistico sviluppatosi in Oriente nel XVIII secolo e nella prima metà del secolo successivo, legato alla cultura giovanile del popolo giapponese. Questa corrente ha influenzato in maniera profonda l’arte occidentale e si inserisce nel più ampio quadro di una vasta fascinazione orientale sull’arte europea. A Londra e a Parigi in particolare si diffonde il gusto per quest’arte sofisticata ed innovativa, che offre al pittore di talento quegli strumenti che saranno fondamentali nellintento di liberarsi dai precostituiti valori accademici. In poche parole si guarda all’oriente per approdare a nuovi traguardi artistici. Toulose-Lautrec infatti utilizzerà le stampe giapponesi come duttile medium per ottenere una resa sintetica ed efficace della realtà. Molti pittori dell’epoca andavano nella stessa direzione, basti pensare a Gauguin, Van Gogh o Bernard, tanto per citare i nomi più famosi. E’ interessante come ciascuno di questi artisti abbia plasmato una sua propria idea di arte orientale, trasferendola nelle proprie opere con risultati differenti. Qualche anno più tardi a Parigi sarà l’arte africana, la scultura negra in particolare, a fare la parte del leone: Picasso ne trarrà forte ispirazione in particolare per le sue Demoiselles d'Avignon, come anche Matisse e tutto il gruppo dei Fauves. Ma torniamo a Toulouse: il japanisme gli fornisce dunque ciò che va cercando, stilizzazione e contorni netti, tagli inconsueti che ritrova anche nella fotografia, altro strumento fondamentale nella sua ricerca artistica. Che sia una foto scattata da lui nel suo studio, o una stampa di Hiroschige, Toulouse ricerca i tratti essenziali del soggetto e nuove, ardite prospettive. In mostra la presenza giapponese è importante: ricordo Utamaro (1753-1806), con le sue lievi cortigiane, figure piatte ed eleganti in spazi richiusi, tagliati con audacia, e Hiroschige (1797-1858) presente con i suoi paesaggi surreali, sublimati dalla prospettiva a volo d’uccello e dalla preziosa definizione del dettaglio. Un’altra sezione di grande fascino della mostra è quella che mette a fuoco il dialogo di Lautrec con i suoi storici concorrenti: Jules Chèret, primo, fra tutti ma anche Alphonse Mucha e Théophile Alexandre Steinlen. Chéret (1836-1932) è un artista da riscoprire: la sua fortuna critica è stata oscurata da quella di Toulouse-Lautrec, anche se all’epoca fu vero il contrario. Chéret era un artista già affermato quando Lautrec si affacciò sulla scena artistica parigina negli anni 80’ dell’ottocento. Quello che si può  considerare il primo grande cartellonista di F










rancia prendeva le mosse da immagini classiche; dietro le sue flessuose e moderne bellezze parigine ritroviamo dei Boucher, dei Watteau, dei Tiepolo. Successivamente, con l’avanguardia impressionistica, Chéret mostrò di apprezzare Renoir, Degas e Monet, che infusero nuova linfa ai suoi colori. I suoi cartelloni sono ammiccanti ancora oggi: le pin-up del diciannovesimo secolo occhieggiano dai suoi manifesti, racchiuse all’interno di importanti architetture sceniche ed avvolte in abiti opulenti che fanno risaltare la forma del corpo a clessidra. Niente di più lontano dalle svelte figurette di Lautrec, già in linea con la donna serpentina Art Nouveau e con la donna-crisi dei primi del 900’










Se paragoniamo ad esempio una Jane Avril, ritratta in una litografia del 1889, con una figura di Chéret,  differenze abissali balzano all’occhio. La figura è sottile, allungata; un serpente disegnato sull’abito si avvolge in una spira colorata i il corpo, evidenziandone la magrezza. Il volto è emaciato, pallido, quasi inquietante. Siamo già nel  pieno 900’. Prendiamo ora in esame una delle opere di Chéret, presenti in mostra, ad esempio Saxoleine, litografia datata 1895 pubblicizzante una lampada ad olio. La figura si torce manieristicamente sulla vita sottile, per poi esplodere nelle curve morbide del corpo, l’abito è a dir poco fastoso, l’immagine ridondante. Nulla di più lontano da Lautrec. C’è da dire che Jules Chéret fu un ottimo pubblicitario, dal momento che l’intuì genialmente che una bella donna potesse incrementare le vendite di prodotti. Oggi l’identificazione bella donna- bel prodotto è di chiara evidenza per tutti; all’epoca ciò fu una novità ed ebbe un enorme successo.
Mucha (1860-1939) è presente in mostra con alcuni splendidi manifesti ed anche in questo caso è palese la distanza da Lautrec. L’artista cecoslovacco, che conobbe grande successo a Parigi, come Lautrec, lavorava molto con le fotografie. Mentre Lautrec si serve del mezzo fotografico  per l’esigenza di levare, Mucha è mosso da motivazioni opposte. A partire da un immagine fotografica piuttosto scarna della modella crea figure iconiche simili a dee, o imperatrici. Ricchi dettagli nei vestiti e nelle scenografie rendono le sue opere delle trasfigurazioni liriche della realtà. Mucha si rivolge al passato, agli affreschi bizantini, ai codici miniati medievali, a Botticelli, ma anche ai più vicini preraffaeliti. Queste influenze vengono utilizzate dall'artista per ottenere preziose icone dal fascino algido, molto distanti dalla realtà quotidiana. Ecco il motivo perché Sara Bernahrdt voleva essere ritratta da Mucha e non da Toulose-Lautrec: l’artista cecoslovacco la rendeva bellissima, una regina splendente in una cascata di seta, gioielli e fiori. Toulouse, al contrario, rimase coerente con la sua personale visione del mondo e dell’arte. Lautrec pareva trovare vita e conseguentemente ispirazione in ciò che è quotidiano, o anche banale. Il volto di un’operaia, o quello di una donna di spettacolo sono indagati con vena caricaturale che a volte si spinge ai confini del grottesco. 
Osserviamo Carmen Gaudin, la sua modella prediletta fino al 1889, ritratta in un olio esposto nella prima sala della mostra: il ritratto è di profilo, come nei ritratti rinascimentali, i tratti del viso non sono delicati, ma fortemente caratterizzanti. Troviamo già qui la ricerca del “tipo” lautrechiano, di qualcosa di non omologato, diremmo oggi. L’interesse per i ceti operai era un fenomeno tipico nelle avanguardie di quegli anni. Se Courbet aveva aperto la strada al realismo, Degas, nelle sue serie sulle Repasseuses o Femmes à la toilette s’insinuava nelle pieghe della vita modesta di donne qualunque, colte in un momento di rilassata indolenza o mentre svolgono energicamente il loro lavoro. Lautrec prosegue nella direzione indicata da Degas e va oltre, indagando spietatamente le lavoratrici delle Maison closes. Non c'è giudizio, non c'è pietà. Se dobbiamo cercare qualcosa nei ritratti di Lautrec troveremo empatia. Lautrec ritrae con occhio disincantato ciò che lo circonda: provenendo da una famiglia facoltosa e aristocratica i suoi primi soggetti sono legati a questo ambiente, come le corse equestri ed  i boschi intorno al  castello di famiglia. Successivamente, il conte Henri Touluse-Lautrec de Monfa sceglie di cambiare vita e si trasferisce a Montmartre. Ciò che lo circonda è un universo eterogeneo e pittoresco di "tipi". Come dimenticarsi di Aristide Bruant, i rude chansonnier con la sua sciarpa rossa ed il cappello a larghe falde, o delle ballerine Eglantines, nei loro rutilanti costumi di scena? E' evidente che Lautrec qui si sente a casa e ha occasione di trovare ampiamente quei soggetti che gli sono congeniali. L'esposizione di Traversetolo, oltre alla vasta sezione cartellonistica e a qualche bell'olio, ha il merito di esplorare nella sezione finale un settore poco conosciuto della produzione di Lautrec: il lavoro nel campo della grafica editoriale con il livre d'artiste. Il libro illustrato in tiratura limitata si diffonde nelle élites della Francia di fine secolo. Lautrec collabora con lo stampatore e l'editore, con xilografie o litografie o pochoir. Le illustrazioni originali per La fille Elisa di Edmond de Goncourt, pubblicato postumo solo nel 1931, oppure Yvette Guilberte (1894), un ampio album quadrato di grande formato con disegno dell'artista in copertina, sono opere di grande pregio. La linea di Lautrec è sferzante, sicura, il disegno vanta tagli audaci, originalissimi. Molte riviste fioriscono a cavallo dei due secoli e nella grafica editoriale Lautrec trova grandi potenzialità espressive: sintesi ed efficacia del tratto sono ancora una volta messi a frutto dall'artista nelle feconde collaborazioni con importanti riviste come  "L'estampe Originale" di André Marty.







Il lascito di Lautrec è sicuramente di vasta portata, sia nella produzione grafica che pittorica. La mostra indica un grande artista fra tutti, che guarda con ammirazione l'opera di Lautrec : Pablo Picasso. La fase precedente al più famoso periodo blu, è palesemente influenzata dal pittore di Albi.  In entrambi, l'urgente bisogno di rendere il reale si spinge fino alla caricatura grottesca del mondo. La sottile malinconia che pervade l'opera dai Picasso in questi anni si trasformerà nella cortina di tristezza  blu della produzione  successiva. Se vogliamo aggiungere altri grandi nomi all'eredità di Lautrec, possiamo pensare anche ai giovanissimi Schiele o Dalì, artisti purtroppo non presenti in mostra.
L'esposizione colma un grande vuoto e ci si augura che presto una collaborazione con la città di Albi e magari anche con il Musée D'Orsay di Parigi possa continuare sulla strada tracciata dalla fondazione magnani Rocca per dare a Toulouse-Lautrec quel riconoscimento che merita.

Le donne di Toulouse


Jane Avril

Jane Avril (Parigi, 1868-1943) ballerina, cantante, attrice:  Rossa e longilinea, emerge tra le altre donne di spettacolo di fine secolo per la sua espressione malinconica e la sua aria da intellettuale; sembra infatti che potesse vantare una discreta cultura. Era figlia di una cortigiana morta in gravi condizioni di disagio psichico e di un nobile italiano non bene identificato. Fu ricoverata per disturbi nervosi alla Salpetrière, dopo un infanzia ed una adolescenza particolarmente difficili. Una delle cose più interessanti della vita di Jane Avril è che fu curata dal dottor Charcot, un nome particolarmente noto per la sua influenza su di un altro medico dell’epoca, anche lui interessato ai disturbi nervosi femminili: Sigmund Freud. Dopo qualche esperienza come cavallerizza e ballerina in locali di second’ordine, Jane debuttò al “Moulin Rouge” con la Goulue, specializzandosi nel ballo della “quadriglia naturalista”. Il periodo di maggior notorietà può essere collocato tra il 1890 e il 94’, quando lavorò al “Jardin de Paris” e alle “Folies Bergère”. Recitò Ibsen (Peer Gynt) e Colette (Claudine à Paris). Fu pattinatrice al “Palais de Glaces” e seguì la compagnia delle Eglandines a Londra. Ottenne successi negli Stati Uniti e fece ritorno al “Moulin Rouge” concludendo qui la sua carriera. Morì in miseria, ricoverata in uno squallido istituto per anziani. Fu una grande amica di Toulouse-Lautrec, col quale forse intrecciò anche una breve una relazione amorosa. Jane Avril seppe apprezzare le opere di Lautrec, al contrario delle sue colleghe. Toulouse le regalò molti quadri, ma, pur stimandone la qualità, lei ne fece regolarmente dono ai suoi vari amanti.

La Goulue
La Goulue, Louise Weber ( Alsazia1866-Parigi 1929) ballerina e attrice: detta la golosa per il suo insaziabile appetito. Faceva la lavandaia quando venne scoperta da M. Astruc che la fece debuttare al famoso circo “Medrano”. Lavorò al “Moulin de la Galette”, locale sulla Butte immortalato da tanti pittori, tra cui un indimenticabile Renoir, e al “Jardin de Paris”. Nel 1890 ballava al “Moulin Rouge” divenendone la maggior attrazione fino al 1895. Accumulò molto denaro in questo periodo, anche grazie alla notorietà ottenuta con i manifesti di Toulouse-Lautrec. Comprò una casa a Montmartre che divise con Mòme Fromage, sua collega e amica. La sua figura però con gli anni si appesantì e le sue performances ne risentirono. Quando il suo ballo prediletto, la quadriglia, passò di moda la Weber si trovò in difficoltà. Nel 1895 aprì una baracca alla Foire du Trone che fece decorare da Lautrec( oggi i resti si trovano al Musée D’ Orsay) Ma la sua carriera era ormai al tramonto. Fu costretta a ripiegare su altre professioni: divenne fioraia, lottatrice e domatrice di belve da “Juliano” nel 1900.Passò la vecchiaia in povertà e morì all’ospedale di Laboisère dimenticata da tutti.
Yvette Guilberte
Yvette Guilberte, cantante e dicitrice (1868- 1964): indossatrice e poi commessa al Primtemps, debutta al teatro “Eldorado” nel 1886. Seguono il “Jardin de Paris” nel 1889 e il “Moulin Rouge” nel 1890. Negli anni successivi si esibisce al nuovo “Divan Japonais” e all’”Horloge”. Ormai divenuta celebre il suo successo fu coronato da una tournée americana (1895), seguita da un ritorno a Parigi in pompa magna. La Guilberte seppe indubbiamente valorizzare e caratterizzare il suo personaggio: il suo simbolo divennero i guanti neri e lunghi, sembra un ricordo della sua vecchia istitutrice. 
Il viso di Yvette, caratterizzato da lineamanti affilati ed espressivi, fu immortalato senza pietà da Lautrec, ed era  particolarmente congeniale alla tecnica caricaturale del pittore. La Guilberte detesta i ritratti di Lautrec prediligendo opere più aggraziate, come quelle di Steinlen o Mucha.


Suzanne Valadon
Suzanne Valadon, pittrice ( Bessines 1865- Parigi 1938): Lavandaia e poi trapezista, la Valadon a causa di una caduta dovette ripiegare sul lavoro di modella. La ritrassero tra i più grandi artisti dell’epoca, oltre a Lautrec, anche Zandomeneghi, Puvis de Chavannes, Renoir. Ebbe un figlio al quale Utrillo acconsentì di dare il suo cognome. Il “trio infernale di Montmartre”, Suzanne Valadon, suo figlio Maurice e il giovane marito di lei, condusse una vita sregolata, fuori da ogni schema. Prima di sposarsi, ebbe una relazione con Lautrec. Si racconta che la Valadon volesse sistemarsi con il pittore albigese e che lui fuggì da una situazione insostenibile, un legame basato sul mero interesse materiale.